Vegani e Bibbia
Ben lungi dall’addentrarci nella diatriba che dilaga ovunque tra i sostenitori del veganesimo e tra coloro che si dichiarano onnivori, proviamo con questo articolo a fare un po’ di chiarezza e a dare qualche risposta alle persone che citano il testo della Bibbia come tesi a favore del fatto che gli uomini siano stati creati vegani.
Nel libro della Genesi è scritto che l’uomo nasce erbivoro e solo dopo il diluvio universale avrebbe iniziato a cibarsi di carne.
E già qui incontriamo dei problemi non da poco: il testo non è stato scritto da una persona sola, ma è il risultato di più fonti accorpate l’una accanto all’altra (vi siete accorti che i racconti della creazione sono due, infatti?). Il libro inoltre, pur essendo il primo della Bibbia, non è assolutamente tra i primi testi che furono scritti, anzi, la sua stesura, rispetto ad altre parti dell’Antico Testamento è piuttosto tarda.
Senza eccedere con le spiegazioni tecniche, il tutto si può riassumere così: la Genesi fu messa in forma scritta nell’epoca durante l’esilio babilonese (597-538), ad opera della tradizione sacerdotale. Fu preceduta da una lunga tradizione orale, ma i sacerdoti di Gerusalemme durante l’esilio a Babilonia sentirono la necessità di metterla per iscritto.
No, non è che scrissero la Genesi perché si annoiavano e non sapevano come passare il loro tempo, ma per preservare l’identità religiosa loro e del popolo ebraico deportato. A Babilonia fervevano culti politeisti e circolavano grandiose epopee mitiche come quella di Gilgamesh. Fu in questo clima culturale che i sacerdoti si trovarono a confrontare la propria identità religiosa con quella di Babilonia, il loro concetto di Dio con gli dei babilonesi.
Veniamo poi all’altro problema. Per i vegani l’uomo è stato creato erbivoro.
Ed effettivamente in Gn 1, 29-30 è scritto così: “[…] Io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra […] a tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo, a tutti gli esseri che strisciano io do in cibo ogni erba verde.”
Ma poco sopra Dio aveva appena comandato all’uomo e alla donna: “dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra.”
A significato che l’uomo, l’unico ad immagine e somiglianza di Dio, non è equiparato agli animali del creato. Pur essendo tutti creature di Dio, uomo e animale non sono la medesima cosa!
Uno pari e palla al centro, quindi?
No, assolutamente no.
La Genesi necessita di essere contestualizzata ed interpretata. Di più, tutta la Bibbia necessita di una “cassetta degli attrezzi” o di un “manuale d’istruzioni per l’uso”, poiché una errata interpretazione può portare ad errori non di poco conto.
I sacerdoti che hanno redatto lo scritto non intendevano certo inoltrarsi in un trattato scientifico. Il linguaggio della Genesi è mitico, come tutti i linguaggi di tutte le culture, in tutte le latitudini, che narrano della nascita dell’umanità: è sufficiente leggersi, ad esempio, i miti scandinavi, quelli dei popoli precolombiani o anche i miti orientali.
Non c’è alcun interesse per la scienza, non era quello lo scopo principale di quelle storie che legavano uomini e dei, bensì il bisogno primario era provare a rispondere a quelle domande di senso che in ogni tempo e luogo l’uomo si è posto.
Collocato il testo nella sua epoca e nel suo contesto, compreso il fine per cui esso è stato scritto, torniamo alla questione spinosa che ha dato l’avvio a questo articolo.
L’uomo era davvero erbivoro all’alba dell’umanità, come dice la Genesi?
No.
Quello che sta descrivendo il testo è un mondo completamente idilliaco, in cui non esiste alcuna violenza di nessun genere. Non solo l’uomo non uccide gli animali, ma nemmeno gli animali si uccidono tra loro. È un mondo di pura pace. Il rapporto tra uomo e Dio, tra uomo ed animali, è un rapporto basato sulla completa armonia. Questo rapporto idilliaco viene ripreso dai testi profetici, in cui è scritto “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello. […] Il leone si ciberà di paglia, come il bue.” (Isaia 11,6-7) e vuole invece sottolineare come la pace degli albori dell’umanità sarà la stessa alla fine dei tempi.
Il problema dunque sta nel mezzo.
La creazione era il punto d’avvio, la fine dei tempi era lo scopo ultimo della creazione, ovvero la pace tra tutti, compresi gli animali tra di loro.
Pace all’inizio e pace alla fine: questa è la riflessione che ci propone il testo biblico. Non un trattato di scienza, ma un invito per tutti.
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Dopo il Diluvio – il cui mito è narrato in moltissime culture: ebraica, babilonese, greca e scandinava, solo per citarne alcune – la creazione, seppur ristabilita con il ripopolamento della terra da parte di uomini ed animali, non è più un regno pacifico. Questo è un tentativo della Bibbia di dare una spiegazione ad un mondo che pacifico non è, in cui vi sono inimicizie tra gli uomini e lotta per la sopravvivenza tra gli animali. In termini strettamente tecnici si definisce questo tipo di testo un “racconto eziologico” (no, non l’ha inventato nessun uomo di nome Ezio!), ovvero un “racconto che spiega le cause” di un dato fenomeno, spesso naturale.
Dopo il Diluvio si entra nella narrazione della realtà delle cose, ci si avvicina sempre più a quel confine sottile che separa mito e storia vera, fino a varcarlo definitivamente poco dopo con Abramo.
Prendere un libro sacro – che siate credenti o meno – ed estrapolarne il contenuto dal suo contesto per trovare ragione alla propria teoria, beh, questo comportamento io lo definisco in un solo modo: fanatismo.
Tra l’altro dimenticando completamente le centinaia di scene di caccia dipinte nei graffiti della preistoria. A meno che gli uomini primitivi non ci abbiano trollato alla grande, è ad essi che è legittimo guardare per trovare dati storici certi.
Non c’è nessun contrasto tra fede e storia – scommetto che c’è chi invece voleva la rissa – perché esse rispondono a due domande completamente differenti ma complementari: una sul “come è avvenuto tutto”, mentre l’altra racconta il “perché è avvenuto tutto”.
Ultimissima riflessione personale, con cui desidero concludere l’articolo.
Nella Bibbia è scritto che il mondo è stato affidato alla custodia dell’uomo. Custodia. Non dominio indiscriminato, non faccio-quello-che-mi-pare-e-piace.
Se vi dessero qualcosa di prezioso da custodire, che so, una Ferrari fiammante nuova di zecca, la prendereste a calci? Ovviamente no (chi ha risposto di sì è pregato di fare penitenza), anche perché il proprietario al suo ritorno sarebbe giusto un filino contrariato del vostro pessimo lavoro.
Il mondo, animali, aria e piante (così includo tutti: onnivori, respiriani e vegani… manca qualcuno?) è qualcosa di ben più prezioso di una Ferrari, anche perché se lo trattiamo male, prima di fare i conti con il proprietario, dovremo fare i conti con noi stessi. Trattarlo male è come fare un bel buco alla barca su cui stiamo comodamente seduti: saranno pochi attimi e poi tutti con il sedere a mollo.
Da custodi quali dovremmo essere, quindi, è necessario il rispetto. Ed ognuno può attuarlo nella forma in cui crede.
Encomiabile è il rispetto di chi, come i vegani, decide volontariamente di non utilizzare alcunché di provenienza animale, come sostengono i vegani. Ma altrettanto lo è quel profondo rispetto che portano radicate con sé, ad esempio, alcune tribù dell’Africa o gli indiani nativi d’America, che elevano un canto di preghiera prima di partire per la caccia ed alla fine di essa: l’animale che essi hanno ucciso per sopravvivere diventa qualcosa di sacro perché permette loro di continuare ad esistere.
Spero di aver fatto un po’ di chiarezza e di aver dato risposta a qualche quesito.
Se siete arrivati qui in fondo senza addormentarvi sulla tastiera avete la mia somma stima.
Se invece vi foste annoiati, vi rispondo come il Manzoni: “credete che non s’è fatto apposta”.